


Il ciclo completo di lavorazione della lana fino alla metà del secolo scorso, periodo che coincide con l’industrializzazione dei poli di sviluppo del mezzogiorno e che dichiaratamente tendeva a spostare la forza lavoro dai campi all’industria, era parte integrante della vita quotidiana ed in particolare dei lavori domestici femminili. Infatti, ad esclusione della tosatura, le restanti fasi di lavaggio, cardatura, filatura e tessitura, erano competenza delle donne e, sin da bambine, venivano coinvolte nell’esecuzione delle diverse procedure. Le più piccole cominciavano con forme di collaborazione, nelle procedure semplici, alle madri, alle sorelle e alle donne di casa. Con la crescita e l’acquisizione pratica di più competenze, ogni donna in genere sapeva svolgere l’intero ciclo di lavorazione, specializzandosi magari nella fase per la quale si era maggiormente portata.
Le diverse fasi di lavorazione della lana erano anche momenti sociali importanti, che scandivano la vita quotidiana. Così come per altre attività domestiche, le procedure di preparazione dei filati e del telaio, richiedevano aiuto e collaborazione e divenivano momenti di condivisione, spesso ulteriormente allietati da piccoli festeggiamenti conclusivi.
La tosatura veniva realizzata dai pastori, una volta all’anno, in primavera, quando il vello degli ovini si presentava maggiormente folto per la necessità di fronteggiare il freddo dei mesi invernali. Inoltre, con la tosatura primaverile si preparavano gli animali all’arrivo del caldo.
L’operazione era di competenza maschile e veniva svolta sempre in gruppo, costituito generalmente da parenti, amici, vicini di casa e di pascolo. I compiti erano distinti e coordinati: alcuni si occupavano di immobilizzare e legare gli animali; altri, i tosatori, tagliavano con le forbici il vello, con gesti rapidi e sistematici eseguiti con competenza ed esperienza; altri infine si occupavano di ripiegare e conservare il vello, che, tagliato alla base, manteneva la forma dell’animale. La lana veniva quindi venduta e affidata alle donne per le fasi successive di lavorazione. Le donne compravano la lana necessaria al fabbisogno domestico ed eventualmente per vendere o scambiare il prodotto lavorato. Spesso la ricevevano in cambio di altri prodotti o di aiuto in altri lavori.
La fase successiva era il lavaggio. La lana tosata veniva lavata a caldo presso i corsi d’acqua. Questa era un’operazione complessa ed impegnativa in quanto comportava il trasporto del paiolo e degli utensili necessari fino al fiume. Il vello veniva immerso nell’acqua del paiolo, posto sul fuoco. La lana veniva accuratamente e delicatamente mescolata fino alla pre bollitura, momento che si riconosceva per la risalita in superficie di una leggera schiuma bianca, dovuta alla presenza del grasso della lana discioltosi nell’acqua con l’aumento della temperatura. Non si usavamo detergenti. Il sapone di allora veniva, infatti, realizzato con grasso animale e pertanto era ritenuto sufficiente il grasso presente nello stesso vello. L’uso della cenere era invece associato al lavaggio dei panni par la proprietà sbiancante e disinfettante, non sempre necessaria in questa fase. Nelle fasi di lavaggio, la lana poteva essere sottoposta a più bagni e risciacqui. Infine i grovigli di vello venivano disposti ad asciugare all’aperto, distesi sui sassi o appesi sui rami degli alberi.
La lana lavata veniva sottoposta alla cernita. Le donne selezionavano e accoppiavano le fibre seguendo criteri di qualità. Le più lunghe e morbide venivano destinate alla filatura per la tessitura dell’orbace e per la realizzazione degli orditi da telaio (istamine). Le fibre più corte erano destinate alle trame e alla realizzazione di manufatti da lavoro.
I fiocchi di lana puliti e selezionati venivano preparati alla filatura attraverso la fase della cardatura. La cardatura ha la finalità di riordinare e districare le fibre, allineandole e disponendole parallele tra loro. Il lavoro cominciava con una fase preliminare dove le donne a mano iniziavano a districare le ciocche di fibre dividendole in mazzetti. Questi mazzetti venivano quindi pettinati e lavorati con gli scardassi, due strumenti di legno con i denti in ferro.
Le fibre allineate erano quindi pronte per la filatura, procedura che veniva eseguita con la rocca (cannuga, cranuga, rucca) e il fuso (fusu, usu). Sulla rocca venivano avvolte le fibre cardate e la filatrice con il pollice e l’indice ne prelevava un sottile mazzetto e, torcendolo, lo collegava al fuso, che faceva ruotare sul fianco con la spinta della mano. Il suo movimento rotatorio torceva le fibre, creando un filo continuo che la tessitrice continuava ad alimentare prelevando nuove fibre dal fuso. Infine con l’impiego di una naspa (isciobidòrgiu, sciollitràma) venivano formate le matasse.